“Diario tra le pieghe”, di Mauro Labellarte

LO VOGLIAMO DAVVERO?

E’ successa una cosa che rasenta l’incredibile:

quasi di punto in bianco, quasi in ogni parte del globo terrestre, abbiamo iniziato ad avere le stesse abitudini e a fare le stesse cose.
Abbiamo totalmente cambiato il modo di stare insieme (ad esempio online), utilizzato diversamente gli strumenti a disposizione  (lavorando da remoto e ripensando gli ambienti di lavoro), cambiato comportamenti radicati.
Per la pandemia, certo, quindi per imposizione, per paura e per necessità di sopravvivenza.
Lo volevamo davvero? No, Ma l’abbiamo fatto.
In Italia come in Europa, in Usa come in Cina, India, Russia e quasi dappertutto.

A ben guardare, qualcosa tutti insieme l’avevamo già fatta:
comprando la stessa moda, gli stessi cellulari, le stesse macchine, gli stessi serial e le stesse vacanze abbiamo deciso come volevamo vivere e come doveva essere il mondo in cui farlo.
Sistemi sociali che, direttamente o indirettamente, abbiamo trovato e poi ratificato con i nostri gesti quotidiani. Modelli che spesso si sono rivelati distruttivi, desocializzanti, ecologicamente non sostenibili e dalle conseguenze catastrofiche e globali.

Se c’è una cosa davvero importante da imparare, da questa pandemia, è che cambiare è più possibile di quel che pensavamo. Lo abbiamo dimostrato.
Però va scelto, da ognuno di noi. Lo vogliamo davvero?
E va fatto insieme. Lo vogliamo davvero?

Se anche l’Europa, ad esempio, riuscisse perfettamente a riciclare gli scarti, a azzerare le emissioni e cambiare ogni fabbrica e ogni comportamento dei singoli (fantastica utopia!), ad ora non ne hanno intenzione gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’India né tanti Paesi del centro e sud America.
Quindi per quanto impegno possiamo mettere noi in questo, quale beneficio ne trarremo?
A meno che, insieme, non lo vogliamo davvero. Lo vogliamo?

Perché significa ripensare i nostri atteggiamenti, i nostri desideri, gli obiettivi e le aspettative.
Uscire dai tanti complessi di inferiorità (gli italiani sono migliori, l’occidente è superiore, una religione ha più importanza dell’altra): condizione necessaria per operare con gli altri.
E poi passare dall’avere all’essere.

La visione globalista, per ora applicata principalmente all’interconnessione economica e comunicativa, è risultata limitata. Ogni nostro comportamento, così come quello di chi sta a migliaia di chilometri da noi, ha una conseguenza su tutti gli altri. Ed è con gli altri che queste conseguenze vanno affrontate.

Vivere diversamente è possibile, è sotto i nostri occhi, a portata di mano.
Lo vogliamo davvero?